
Non ci può essere ombra senza la luce. Luce e ombra sono metafore di Bene e Male, due categorie che spesso si applicano in relazione al progresso umano e all’innovazione. Ricordare le nostre origini di esseri umani aiuta a comprenderle.
Questa è la trascrizione dell’episodio #02 del mio podcast Il senso Digitale.
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L’ombra e la sopravvivenza
La mia gatta Spanky in questi giorni sta scoprendo la propria ombra. E’ capace di stare un’ora intera davanti a un muro a osservare quella sagoma scura che si muove con lei. Sembra ipnotizzata. Osservandola, mi domando: oggi anche noi umani stiamo dedicando la stessa attenzione alla nostra ombra?
Spanky ha circa due anni e quando l’abbiamo trovata era una cucciola abbandonata e impaurita, pronta a difendere con i suoi piccoli artigli ogni grammo di cibo. Oggi, quando osserva la propria ombra, sembra riconoscervi la fame e la paura ed è come se trovasse conferma di essere ancora viva. Qualcosa di simile, forse, accade anche a noi: la nostra ombra ci ricorda che siamo animali affamati, in lotta per la sopravvivenza.
In questo senso, la storia primordiale della specie umana può aiutarci a comprendere qualcosa dell’ombra. Infatti, come ci ricorda lo storico Yuval Noah Harari, il processo che ha portato l’Homo Sapiens a conquistare il suo primo posto in cima alla catena alimentare, è stato caratterizzato dall’ansia di difendersi continuamente da qualcuno o qualcosa. L’ansia del pericolo incombente e l’incertezza fa ancora parte di noi. Non importa se non ci sono realmente delle belve giganti dietro l’angolo pronte a divorarci: oggi quell’incertezza atavica custodita probabilmente nel nostro DNA, si manifesta rispetto a situazioni molto diverse, si declina in un ventaglio di atteggiamenti variegato ed è capace di tirare fuori il peggio dell’uomo. L’inaccettabile.
Per Jung l’ombra nasconde l’inaccettabile, appunto. Ma l’ombra c’è dove c’è luce. Luce ed ombra sarebbero, in sostanza, metafore del Male e del Bene insite nella natura umana. Il negativo, contrapposto al positivo. Quando si parla di progresso, innovazione, tecnologia spesso si fa riferimento a una di queste categorie: bene o male. Certamente c’è da indagare in queste due dimensioni, che rappresentano di per sé due chiavi di lettura opposte del progresso umano, nel modo stesso di intenderle.

Due grandi risorse: l’immaginazione e il linguaggio
Oltre a quell’ansia ancestrale, l’Homo Sapiens ci avrebbe lasciato in eredità due grandi capacità distintive: l’immaginazione e il linguaggio. Due abilità che ci avrebbero permesso di sopravvivere e di adattarci grazie alla forza dell’astrazione, di creare armi e utensili e di organizzarci in comunità collaborative. I primi cacciatori-raccoglitori hanno iniziato a immaginare una vita più comoda e meno esposta alle intemperie e alle belve feroci. Cominciarono a parlarne tra loro, finché non sono diventati agricoltori stanziali.
Un vero e proprio motore del cambiamento, dunque, è stata la tensione al miglioramento delle condizioni di vita e alla sicurezza. Questa cosa, evidentemente, ce la siamo portata fino al 2021. Lo sviluppo tecnologico nasce proprio da questo: renderci la vita migliore, sempre più facile e sicura dal punto di vista materiale.

Bene e male sono categorie relative
Ecco un nodo a proposito delle dicotomie luce-ombra, bene-male, positivo-negativo rispetto al progresso: non tutti riconoscono lo stesso significato a questi concetti.
In particolare agli estremi opposti si collocano i transumanisti e tecnocatastrofisti.
Per i transumanisti fanno parte dell’ombra inaccettabile la malattia, l’invecchiamento e, in ultima analisi, la morte. Per loro, dunque, il miglioramento dovrebbe mirare a cancellare questi aspetti dalla nostra esperienza, fino al punto addirittura da aumentare le capacità fisiche e cognitive dell’uomo e realizzare una vera e propria trasformazione post umana. Quindi, come per i primi Homo Sapiens, il Male sarebbe la caducità e la fragilità dell’esistenza umana e il Bene consisterebbe nel contrastarle in tutti i modi con l’aiuto della tecnologia. All’estremo opposto ci sono i tecnofobici e tecnocatastrofisti, di varia estrazione filosofica o religiosa, che rifuggono la tecnologia, in quanto strumento principe del Male che condurrebbe alla fine dell’uomo sulla Terra, mentre il Bene sarebbe un ritorno a un passato imprecisato o a un futuro predestinato.
Riconoscere il cambiamento
Al di là delle etichette, tra questi estremi ci sono diverse posizioni, soprattutto, mi pare di notare, c’è la posizione di chi non ha una posizione e non è nemmeno interessato a informarsi su questi temi. Ci sono i cosiddetti early adopter entusiasti e appassionati di tecnologia. Appena esce un prodotto nuovo lo comprano, prima della sua diffusione di massa, per amore delle novità o per status symbol e magari non si fermano mai a riflettere su come l’uso di quel prodotto possa incidere sulle loro relazioni. C’è chi ha l’Iphone e non sa usarlo in tutte le sue funzionalità e magari teme che la tecnologia gli ruberà il lavoro. C’è chi non ha un lavoro o lo sta effettivamente perdendo perché privo di competenze adeguate al contesto attuale. Ci sono imprenditori refrattari alla digitalizzazione, che ancora non hanno compreso il rischio che corrono.
Soprattutto nell’ultimo anno, gran parte del mio lavoro va proprio nella direzione di accompagnare le persone e le aziende nella trasformazione digitale. Non perché io sia particolarmente filotecnologica, ma perché la portata del cambiamento epocale che stiamo vivendo è tale che ignorarla sarebbe molto pericoloso. E’ una vera e propria rivoluzione che sta cambiando le dinamiche di ogni area del mercato, della società, della cultura, della vita privata e relazionale. C’è molta differenza tra rimanerne vittima ed esserne in qualche modo attori consapevoli, perché interpretandola la si può guidare, ognuno un po’, insieme tanto.

Immaginazione e linguaggio innovativi
Ecco perché parlo di senso digitale. A livello percettivo e cognitivo occorre sviluppare un senso nuovo che ci consenta di muoverci in questo cambiamento, attraverso l’acquisizione di competenze digitali, la conoscenza dello scenario complessivo, la coltivazione di senso critico e costruttivo e la creazione di un significato di innovazione che contempli anche un innovazione di atteggiamento non solo verso le tecnologie, ma soprattutto verso noi stessi e la nostra terribile ombra.
Rispetto alla tecnologia ci si sofferma spesso sul “cosa”, quando invece sarebbe più incisivo soffermarsi sul “come”, sul “quanto”, sul “chi” e soprattutto sul “perché”. Approcciarla con queste domande fa immediatamente entrare in una posizione di controllo su un fenomeno trasformazionale che sembra ormai sfuggire al nostro controllo. Ecco come entra in gioco il senso, ossia la forza direzionale e valoriale di scegliere una narrazione piuttosto che un’altra di innovazione. Intendo dire che la digitalizzazione, il progresso tecnologico con ogni probabilità non possiamo arrestarli perché ci sono interessi multistratificati in gioco e forse soprattutto perché non fa parte del DNA umano fermarsi nella corsa al miglioramento delle condizioni della vita materiale.
Ciò che possiamo fare è usare innovativamente anche l’altra parte della preziosa eredità che ci lasciato l’Homo Sapiens: l’immaginazione e il linguaggio. L’immaginazione per visualizzarci un futuro in cui il concetto di vita migliore, contempi sfumature che travalichino l’aspetto materiale dell’esistenza. Il linguaggio per permettere alla civiltà collaborativa di fare un grande salto evolutivo proprio sulla base di un “migliore” comune, inclusivo e pervasivo.
Credo che la tecnologia non sia né un Bene, né un Male assoluto. E’ semplicemente uno strumento che possiamo usare per il bene o per il male. Occorre responsabilità, partecipazione e regolamentazione per definirne l’uso. Come diceva il sociologo Zygmunt Bauman: “noi, abitanti umani della Terra, siamo come mai prima d’ora, in una situazione di aut aut: possiamo scegliere se prenderci per mano o finire in una fossa comune”.