Un’antica leggenda narra che Carlomagno, già ormai piuttosto attempato, si innamorò perdutamente di una bella fanciulla che poi sposò. Era talmente preso da questo amore che trascurava gli affari dell’Impero, facendo preoccupare il suo entourage. Quando improvvisamente la moglie morì, egli non riuscendo a separarsene, ne fece imbalsamare il cadavere per tenerlo nella sua stanza. Tale morbosità fece insospettire l’arcivescovo Turpino, il quale ipotizzò che un simile comportamento fosse dovuto a un anello magico, che trovò nascosto sotto la lingua della defunta. Quando l’arcivescovo s’impossessò dell’anello, Carlomagno fece seppellire la sua amata e cominciò a dirigere tutte le sue attenzioni su Turpino. La situazione diventò piuttosto imbarazzante, dunque Turpino gettò l’anello nel lago di Costanza. E a quel punto successe che l’imperatore s’innamorò del lago e sulle sue rive fondò la città di Aquisgrana.
Di questa leggenda si trova traccia, in varie versioni, da Petrarca in poi in diversi autori. Io la scoprii anni fa, leggendo le Lezioni americane di Italo Calvino. Recentemente ho ripreso in mano quel testo e ritrovandoci questa storia mi sono giunte nuove riflessioni, che esulano dall’analisi calviniana e mi confermano che un libro sa dirti qualcosa di nuovo ogni volta che lo apri.
Il tema dell’anello magico è di antica memoria e ampiamente presente nella letteratura e nel cinema. La sua forma circolare, senza fine né inizio, richiama significati legati all’infinito e all’eternità. Il cerchio è anche simbolo di forza, controllo, autorevolezza e perfezione e si sa che certi anelli magici conferiscono abilità particolari, come quella di diventare invisibili o invincibili. D’altra parte, ogni anello magico che si rispetti è in metallo prezioso e richiama l’antica e magica arte della metallurgia, che ha in comune con lo sciamanesimo la conoscenza e l’aggregazione delle forze dell’ignoto.
Ma nella storia di Carlomagno, non è il protagonista a portare l’anello in questione!
Lo insegue perché ne è irresistibilmente attratto e si appiccica a chiunque lo abbia con sé, donne, uomini o laghi che siano. Probabilmente non ne conosce nemmeno il potere e non associa ciò che prova con l’esistenza dell’anello: ne subisce l’influsso, senza neppure porsi il problema di impossessarsene.
Eppure era Carlomagno, un anellino poteva pure farselo!
Va da sé che se uno è sotto incantesimo, non è lucido. D’altra parte chi ci dice che non gli andasse bene così? Dopotutto sotto l’influsso di quell’anello ha continuato a collezionare successi e fondare nuove città. Ma ha vissuto la vita che voleva? E’ diventato chi desiderava davvero essere? Soprattutto, sapeva cosa desiderasse davvero?
Quanti anelli magici agiscono su noi, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, pilotando i nostri desideri e i nostri comportamenti? Lasciamo che li indossino le persone che ci circondano, certi luoghi, pensieri o passioni. Magari ci spingono oltre i nostri limiti, perché gli incantesimi possono anche essere benigni. Oppure ci muovono come marionette, decidendo per noi di portarci lontano da noi stessi. Ogni anello ha un potere diverso che determina un nostro particolare comportamento e stato d’animo, così noi reagiamo all’influsso che persone, cose e situazioni hanno su di noi e portiamo a compimento l’incantesimo correlato. Incantesimo, del resto, etimologicamente viene dal latino in-cantare, da cui deriva anche carmen, ossia canto, poesia, profezia.
Inseguire inconsapevolmente gli anelli che non siamo noi a indossare è come lavorare inconsapevolmente alla realizzazione di profezie già scritte, stampate a caldo negli schemi del nostro pensiero. Indossare gli anelli significa gestirne il potere e riscrivere le profezie.
Come fare per mettersi gli anelli al dito?
Ho una mia teoria sugli incantesimi, riassumibile più o meno così: sono come delle bolle spesse e trasparenti che hanno sempre un punto debole, scoperto quello la bolla si può rompere.
Tornando a Carlomagno e alla guancia imbalsamata di sua moglie, forse il possibile punto di rottura della bolla era proprio lì, in quegli istanti in cui la sua mano toccava la guancia inerte della moglie defunta, mentre le sue narici inalavano odore di morte e nessuno rispondeva alle sue parole d’amore.
Cosa sarebbe successo se avesse davvero avvertito quell’immobilità, quell’odore e quel silenzio? Se per un attimo si fosse chiesto “è proprio ciò che voglio starmene qui?” e avesse dato spazio al dubbio di non essere padrone delle proprie azioni?
La bolla rimane intatta se nemmeno si sospetta di esserci dentro. Ecco: esercitare il dubbio di trovarsi sotto incantesimo può essere un buon modo per ritrovare e rinnovare presenza in se stessi.
Quali anelli state rincorrendo ora e quali vorreste alle vostre dita?
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